Il tempo lo si può misurare soltanto in maniera indiretta, e il susseguirsi di una sequenza di movimenti, spostamenti, modifiche, su corpi, oggetti, paesaggi, lascia la sensazione dello scorrere di questa forza invisibile. Significativa appare la ricerca di molti artisti contemporanei che nel loro lavoro hanno provato non a rappresentare ma a presentare il tempo: osservandolo, marcando, sospendendo, condensando, o allungando il suo flusso.
Con MICHAEL WESELY il tempo finito che diventa infinito. La fotografia che si presta a catturare il segno del tempo in un unico luogo e che sembra invecchiare proprio come noi. Rivelando che è la luce quell’elemento che segna il costante passaggio che avviene normalmente nella vita. Tra la staticità della storia e la dinamicità del contemporaneo. Wesely Michael fotografo tedesco, dopo anni di studio sulla tecnica fotografica riesce a perfezionare un metodo di cattura delle immagini con lunghissime esposizioni che possono impiegare anche tre anni di tempo.
Attraverso particolari filtri e aperture molto piccole crea delle immagini uniche e suggestive dove il tempo viene catturato nello spazio. Per la maggior parte delle persone la fotografia è la cattura di un istante, un fermo immagine della propria vita. L’immagine rappresenta un momento fermo e immobile. Il lavoro di Michael Wesely si concentra proprio sul concetto del tempo creando immagini il cui tempo di esposizione della macchina fotografica può durare anche diversi anni. Proprio in queste immagini viene immortalato il passare del tempo che rimane registrato attraverso la demolizione e la ricostruzione di edifici, le vie, le automobili, il passaggio del sole e la vita che passa.
Michael Wesely è riuscito a sviluppare questa tecnica dopo numerosi fallimenti e nonostante le suggestive opere prodotte, afferma che non si può calcolare con precisione il tempo e il diaframma nelle esposizioni molto lunghe. Prima dello sviluppo non si può quindi sapere se il procedimento andrà a buon fine, di conseguenza l’immagine elaborata risulta sempre essere una sorpresa. La potenza di queste immagini non sta quindi nel prodotto finito, ma nell’intero processo.
Per la prima volta la fotografia riesce a catturare il segno del tempo in un unico luogo, abbatte le barriere della tecnica convenzionale e lascia entrare con forza l’immaginazione, l’indeterminato e l’ignoto nelle immagini. Ecco che l’esperimento tecnico diventa poetico e artistico. Le particolari fotografie contenenti i segni del tempo sembrano invecchiare proprio come noi, e “ogni immagine è un abisso che attende solo di essere guardato”. Un abisso in cui ogni piccolo elemento, ogni riflesso catturato forma in qualche modo l’illusione di ottenere una rappresentazione di “quel forte e dolce alito dell’universo che spandendosi tra le cose, le contamina invisibilmente”.
Infatti, l’utilizzo di un tempo di esposizione lungo permette un cambio di percezione dell’immagine. La visuale si evolve e quello che emerge nella riproduzione fotografica è una sorta di invisibilità, un qualcosa definito solo in modo frammentario che solo lo spettatore è in grado di completare. Questo permette alle immagini di essere in qualche modo aperte, senza limiti, in contrapposizione ai prodotti fotografici convenzionali conclusi e definiti. La funzione della fotografia viene spazzata via e ciò che resta sono i momenti che si sovrappongono uno all’altro e che diventano la rappresentazione della natura transitoria che ci circonda.