Il processo artistico è imbevuto della ri-flessione sulla natura del Tempo e sulla sua percezione. Si prova a restituirne forma visiva da una sequenza di segni che sembrano sospendere, condensare o allungare il suo movimento.
L’arte, come la vita, è imbevuta di tempo. Come l’uomo misura il tempo? come cerca di contrastarlo? come lo manipola? Sono solo alcune delle domande alla quale l’arte ha cercato di rispondere, analizzando la piccolezza dell’uomo nei confronti di una forza inesorabile che ancora non è riuscito a governare. D’altronde l’uomo misura lo scorrere dei giorni ancora con metodi antichi, come il calendario gregoriano, introdotto nel 1582, e la divisione in 12 mesi e i giorni raggruppati a settimane, dove i nomi risentono ancora dell’influenza latina e del culto religioso pagano. Per non parlare dell’orologio, intorno al quale ancora ruota tutto, instancabilmente.
La difficoltà che i pittori incontrano nel rendere il movimento di un oggetto nel tempo è sempre stata una limitazione frustrante del loro genere. Tale limitazione, resa formale nel secolo diciottesimo da Gotthold Lessing con la divisione delle arti in temporali e spaziali, giunse ad ossessionare i pittori del tardo secolo diciannovesimo. Gli artisti avevano spesso tentato di esprimere un passato e un futuro dipingendo un momento che indicasse oltre il presente.
Gli impressionisti tentarono di rendere il tempo in maniera più diretta, con una successione di dipinti dello stesso motivo nei differenti tempi del giorno, delle stagioni e delle condizioni climatiche, come nei mucchi di fieno di Claude Monet.
Con i cubisti, appunto, l’immagine totale s’irradia nel tempo. Presentando in modo nuovo il tempo nell’arte ma senza costituire l’esperienza del tempo che trascorre.
Intorno al 1870 Paul Cezanne dipinse una natura morta dominata da un massiccio orologio nero senza lancette – un simbolo dell’assenza di tempo che egli cercava di creare nella sua pittura.
In L’enigma dell’Ora Giorgio De Chirico dipinse un orologio con un’ora chiaramente visibile, torreggiante su una piccola misura che alza gli occhi verso la sua imponente grandiosità. Sebbene comunque in molti titoli dei dipinti del tempo suggeriscano trascendenza nello spazio e nel tempo, gli orologi fissano l’azione in un singolo ed immutabile momento.
Qualche anno più tardi si inaugura nell’arte un nuovo modo di percepire la realtà: il Surrealismo. Tra i vari esponenti, Salvador Dalì, fortemente influenzato dagli sconvolgimenti teorici della teoria della relatività di Einstein, dipinse quattro orologi, esponendo la sua concezione del tempo: La persistenza della memoria. I quattro orologi – tre che si sciolgono al sole mentre l’ultimo, ancora nella custodia, è ricoperto dalle formiche che fungono da decorazione – rappresentano la nostra concezione del tempo, modificata dalla nostra psiche e la cui velocità e connotazione dipende solo dal nostro stato d’animo e dalla logica del ricordo.
L’interpretazione di Dalí ci ricorda le proprietà metriche dello spazio-tempo elaborate nella teoria della relatività di Einstein, secondo cui la materia ha l’effetto di curvare lo spazio e il tempo. Infatti, gli orologi molli sciolti al sole, che segnano ore differenti, rappresentano proprio la curvatura del tempo che perde la rigida struttura meccanica per adattarsi alla percezione soggettiva, e scorre con ritmi differenti in punti diversi dell’universo.