DI FRANCESCO ROSI, regista
Roma, il Cinema ed Io… (appunti di lavoro) a cura di Sergio Illuminato, edito nel 1993 dal Quotidiano Paese Sera. Interviste alle principali personalità del mondo del cinema che restituiscono uno spaccato della società degli anni ’90.
Molti dei miei film li ho realizzati in giro per l’Italia e fuori d’Italia, mentre a Cinecittà ho lavorato più che altro al tempo in cui facevo l’aiuto regista. La scenografia per la sequenza del processo nel film “Salvatore Giuliano”, per una disponibilità di teatri, è stata costruita alla De Paolis; il consiglio comunale di Napoli del film “Le mani sulla città”, invece, è stato ricostruito nei teatri del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Il mio primo contatto con Cinecittà avvenne in un’occasione molto singolare. Era il ’44, ritornavo dal nord d’Italia, ero stato costretto dagli avvenimenti a fermarmi a Firenze assieme a un mio commilitone napoletano, nel periodo immediatamente successivo all’8 settembre del ’43 durante la guerra; ero allievo ufficiale e mi dovetti nascondere, come tanti altri nelle mie stesse condizioni, per evitare di cadere nelle mani dei fascisti e dei tedeschi. Con l’arrivo degli americani e degli inglesi lasciammo Firenze e dagli americani fummo trasportati a Roma, dove ci incolonnarono a Cinecittà dove era stato organizzato un centro di smistamento per gli ex-militari che tornavano al sud.
Già da alcuni anni, da quando frequentavo il ginnasio, sognavo di fare il cinema, e Cinecittà, conosciuta solo attraverso le pagine dei settimanali e dei giornali specializzati, rappresentava per me un mito. Ma l’occasione non mi provocò nessuna emozione riferibile alla mia passione: ero terrorizzato di rimanere in quel campo di smistamento. Fortunatamente riuscimmo a fuggire e tornare a Napoli. Conobbi poi, finalmente, Cinecittà nella mia prima occasione di lavoro nel cinema; ero stato assistente alla regia nel film “La terra trema” di Luchino Visconti, girato interamente dal vero in Sicilia.
A Cinecittà fu curato il resto della lavorazione. Mi venne affidato il doppiaggio in un siciliano meno stretto e il controllo delle copie stampate. Visconti era estremamente esigente e io, tra l’altro, mi trovai, per suo conto, a difendere il film dalla ingerenza che j produttori avrebbero voluto esercitare. Allora Cinecittà la raggiungevo con un piccolo tram, almeno fino a quando non riuscii a comprare una “Topolino” di seconda mano.
Il ricordo dei viaggi col tram è un ricordo molto affettuoso, di un’epoca in cui Roma, naturalmente, era molto diversa da come la conosciamo oggi. Comunque, il mito di Cinecittà come unica sede per la produzione cinematografica non è mai esistito: nel quartiere di San Giovanni erano concentrati molti laboratori di sviluppo e stampa dove si montavano i film e si doppiavano, come la Tecnostampa per esempio. Cinecittà era il luogo dove si facevano le grosse produzioni, i film più importanti, come quelli americani.
Mi ricordo che durante il periodo dell’edizione de “La sfida”, a Cinecittà stavano girando “Cleopatra”. Poi, sempre da aiuto-regista, per “Bellissima” di Visconti frequentai a lungo Cinecittà che era, si può dire, la protagonista del film. Anche “Carosello Napoletano” di Ettore Giovannini, di cui ugualmente fui l’aiuto regista, fu quasi tutto girato nel mitico “Studio 5”.
Per un buon periodo di tempo ho fatto anche il direttore di doppiaggio nelle sale di Cinecittà. La zona di Cinecittà allora era molto bella; parlo degli. anni ’50, immersa completamente nel verde: c’era un rapporto diverso con la natura. Era anche Molto piacevole lavorare in sale di montaggio che in confronto a quelle di oggi, erano dei saloni. Poi, nell’ora di pausa, si andava in un ristorante poco lontano, in aperta campagna, si chiamava “La torretta’, Un posto tipico romano: grandi tavoli di legno spaccati dal sole e dalla pioggia, cucina all’antica e soprattutto gente di cui ormai si è persa traccia.
L’altro posto dove ho molto lavorato è la Safa Palatino, li ho montato perlomeno la metà dei miei film: attendevo con gioia il momento di potermi chiudere alla Safa Palatina per quei tre, quattro mesi che occorrevano allora per portare a compimento l’edizione di un film. C’erano i tecnici che ritrovavo volentieri, c poi le famose polpette dalla sora Maria, di Assunta e di Marcella che avevano avuto in gestione da Rizzoli il ristorante della Safa Palatino; polpette seguite da una passeggiata nella splendida Villa Celimontana, lì accanto, e poi di nuovo al lavoro.
Roma prima manteneva un forte amore per la tradizione, per il dialetto, in quartieri come San Giovanni o Trastevere si aveva l’impressione di entrare in un pezzo di storia: si viveva un rapporto con la gente, con i monumenti, con le pietre, con i negozi che erano in fondo i custodi di una cultura della città che i giovani di oggi hanno perso.
Roma, invasa da immigrati da ogni parte dell’Italia ha dimenticato, per esempio; quell’emozione di girare, nei giorni di festa, per le strade dei suoi quartieri vissuti solo da autentici romani. Era anche divertente allora andare a “girare” un film in esterni a Roma; la gente aveva una curiosità che diventava un aiuto, una collaborazione, si sentivano partecipi di qualcosa alla quale erano contenti di partecipare.
Oggi girare in esterni a Roma, come in qualsiasi altra città, è diventato solo questione di soldi e basta. Io sono napoletano, ho vissuto fino al ’45 a Napoli. Da allora mi sono trasferito a Roma, ma è Napoli la mia città e continuo a mantenere con Napoli un rapporto affettivamente e culturalmente primario.
A Roma ho trascorso la parte più importante e lunga della mia vita, ho la mia famiglia, i miei amici.
L’ho conosciuta nei suoi momenti migliori, più cordiali; mentre oggi è convulsa, minacciosa, ostica, nonostante continui ad avere il merita impagabile di portarci indietro nei secoli, facendoci rivivere senza nessuno sforzo la sua memoria. Riesco ancora a godermela la domenica mattina, quando vado in giro per il centro storico a piedi. E’ nel quadrilatero che va da piazza del Popolo a piazza Santi Apostoli che ho sempre vissuto ed è in questi luoghi che ho assistito al mutamento che avveniva sotto i miei occhi di una Roma che nessuno ha difeso: basta pensare allo scempio che si è fatto di certe strade, di certi negozi che costituivano un patrimonio culturale fondamentale per la città.
Roma risente molto della presenza delle istituzioni governative; dei ministeri, dei Partiti politici, del Governo, ma, nonostante ciò, o forse proprio per questo non riesce ad avere una vita culturale di grande livello internazionale.
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