DI GIUSEPPE BERTOLUCCI, regista
Roma, il Cinema ed Io… (appunti di lavoro) a cura di Sergio Illuminato, edito nel 1993 dal Quotidiano Paese Sera. Interviste alle principali personalità del mondo del cinema che restituiscono uno spaccato della società degli anni ’90.
Il cinema italiano è stato ed è prevalentemente cinema “romano”.
Le conseguenze, positive e negative, di questo dato storico sono innumerevoli e, volendole sintetizzare in una formula un po’ generica, ma credo attendibile, possiamo affermare che “l’anima profonda del cinema italiano (romano) è molto più artigiana che industriale”.
Genialità e approssimazione, generosità e cialtroneria, talento e inettitudine sono i tratti distintivi di questo cinema di “bottega” (nel senso della botteguccia del pollaiolo, ma anche delle grandi botteghe degli artisti rinascimentali).
Sono arrivato a Roma bambino e ho avuto un rapporto felice con la città soprattutto negli anni 50 e ’60, poi negli ultimi vent’anni, il degrado urbanistico e antropologia) ha trasformato quello che era stato uno dei più straordinari set a cielo aperto della storia del cinema (da Roma città aperta di Rossellini ad Accattone di Pasolini) in una sorta di infernale crogiuolo di disagi e di disfunzioni.I boulevard parigini accolgono meglio il traffico, il metrò ne smaltisce buona parte, lungo quelle grandi strade è possibile camminare. E guardare. Parigi è “visibile”.
Roma è probabilmente la più bella città del mondo, ma ha una “visibilità” azzerata. Un luogo è visibile quando è vivibile. Roma per i suoi trascorsi storici è una città votata ad un grande relativismo, abituata ad essere testimone della precarietà e della caducità delle vicende storiche: così, mentre possiamo parlare di una Firenze medievale e rinascimentale, di una Lecce barocca o di una Milano moderna, Roma invece rimane una città senza aggettivi e senza immagine.
È una città irrappresentabile, che non “significa”. Mi è molto difficile, in queste condizioni, pensare per i miei film una ambientazione romana. A proposito di Roma set cinematografico voglio ricordare un episodio curioso ed emblematico. Nell’84, durante le riprese di “Segreti segreti” ho girato una scena molto drammatica in una casa del quartiere Coppedè: la madre (Lea Massari) scopre che la figlia (Lina Sastri) è una terrorista e, travolta. dalla disperazione, si getta dalla finestra. Pochi mesi dopo vedendo La messa è finita di Nanni Moretti mi accorgo che anche lui, per la morte del personaggio della madre, aveva usato la stessa casa, la stessa stanza con la stessa finestra attraverso la quale si vedeva la stessa Roma. Sono le casualità giudiziose di una città dove si girano molti film, forse troppi.
In questa sorta di calderone di immagini anonime o abusate, c’è però una piccola isola dove è ancora possibile concentrarsi e trovare un certo stato di grazia: sono i teatri di posa, Cinecittà per tutti. La prima volta che ho visitato gli studi di Cinecittà ho provato una grande euforia: quei teatri tutti uguali, simili a scatole vuote, a immense pagine bianche da riempire…era il regno del possibile. E a Cinecittà ho lavorato varie volte con piacere e con gioia. Ma Cinecittà è adorabile fino ai suoi cancelli. Poi, fuori, il traffico infernale della Tuscolana e gli acquedotti antichi occultati dai quartieri dormitorio…fuori no. Fuori purtroppo è Roma.