Facciamo pace con il dio denaro

DI ROBERTA MELASECCA

Ebbene sì, il ‘sistema dell’arte’ in Italia deve fare pace con il dio denaro. Perché se con sistema dell’arte intendiamo la coincidenza o fusione o convergenza tra il mondo dell’arte – curatori, critici, artisti, spazi indipendenti, gallerie, fondazioni (e musei) – e il mercato dell’arte – artisti, gallerie, fiere, aste, art advisor, collezionisti, investitori (e politici) -, allora, dopo aver visitato l’edizione 50 della fiera più longeva d’Italia, qualche domanda è necessario farcela.

Diciamolo chiaramente: noi in Italia, e soprattutto a Roma, abbiamo una tripla faccia. Da una parte è come se ci vergognassimo di conferire un valore economico all’arte e pretendiamo che artisti, gallerie e curatori lavorino tutti per la gloria e il prestigio e il curriculum e la ricerca (ricerca che comunque è alla base di un qualsiasi percorso e non serve in questo contesto dire cosa è arte e cosa non lo è) (problemi come questo ci gettano nel più profondo scoraggiamento evitare di porseli sarebbe consigliabile ma al destino non si sfugge ai punti interrogativi men che meno). Dall’altra parte è necessario, indispensabile, etico e naturale concepire l’operato dell’artista, e di tutta la filiera, suscettibile di quel riconoscimento (economico) che gli è dovuto ‘per diritto e per dovere’, considerato che di ‘lavoro’ parliamo. La terza faccia della medaglia è quella nascosta e non mai detta che afferma il valore e lo mette in pratica e fa altro viso allo stesso gioco.

E quindi mettiamoci l’anima in pace se ad Arte Fiera 2024 l’assoluta assenza delle gallerie straniere – a parte alcune che contiamo sulla punta delle dita di una sola mano – è sintomatica di tale situazione, che possiamo facilmente verificare anche attraverso l’ultimo Report di Art Basel (anno 2022 in attesa del 2023 di solito in pubblicazione nel mese di aprile). Perchè di questi 67,8 miliardi di dollari che compongono il mercato dell’arte, il 45% appartiene agli Stati Uniti, il 18% ad UK, il 17% alla Cina e il 7% alla Francia che si attesta come il quarto mercato d’arte al mondo (!), seguiti da Germania e Svizzera con il 2% ognuna e da Spagna, Giappone e Sud Corea, tutte con l’1%. E noi? Noi siamo nel grande calderone del 6% rimasto, insieme a tanti altri paesi non meglio precisati. Colpevole anche la politica culturale italiana che non sostiene l’arte e la cultura, che non finanzia produzioni artistiche (e le poche proposte esistenti posseggono un plafond talmente irrisorio da essere totalmente trascurabile), che non equipara il lavoro artistico a qualunque altro lavoro intellettuale e professionale. Sì, colpevole la politica ma collusi con essa anche noi. Perchè se ci guardassimo tutti insieme contemporaneamente negli occhi capiremmo quanto fragile la direzione che abbiamo imboccato.

E allora sì, mettiamoci l’anima in pace e godiamoci queste “nozze d’oro” di Arte Fiera con tutti i suoi luccichii e le sue contraddizioni che sono propriamente le nostre. Saremmo molto più onesti con noi stessi e guarderemmo ogni cosa esattamente come è, senza illusioni.

E dunque apro questa kermesse, che si chiude poco prima di quella sanremese, con il progetto di Maurizio Cattelan che, memore di una sua presenza alla fiera bolognese nel 1991 con uno stand abusivo, qui oggi invece è ufficialmente in compagnia di Mutina, azienda leader nel settore del design ceramico, la quale realizza una quinta scenica all’unico gesto rimasto al nostro Maurizio. Perché se Z era la firma che affermava il passaggio dell’eroe mascherato, disegnata anche in tono scanzonatorio o provocatorio, e se Z è anche l’insieme dei numeri interi relativi e se Z è anche il numero che indica la quantità dei protoni nel nucleo di un atomo, allora la Z di Cattelan è più simile a quella Z scongiurata intorno al 317 a.C. dal censore romano Appio Claudio Ceco, desiderando eliminarla poiché la posizione che assume la bocca per pronunciare quel suono scopre i denti in modo da evocare l’immagine del volto di un cadavere. Quindi anche noi, insieme al gatto, a questo punto della storia, possiamo eliminare l’azione (e non la chiamo artistica, eh) di Cattelan, rimasto fermo all’antologica al Guggenheim.

Di contrappunto il progetto performativo dell’artista peruviana Daniela Ortiz, Tiro al Blanco, indaga proprio quei sistemi di potere, politici, economici e culturali, che tuttavia nel sud del mondo si materializzano in violenze, mortificazioni, razzismi, fino a tramutarsi in una vera egemonia dell’industria militare. L’opera di Ortiz, promossa da Arte Fiera e Fondazione Furla, è uno stand di tiro a segno in cui i bersagli sono i loghi delle aziende produttrici di armi e i premi burattini in legno che rappresentano personaggi impegnati nella lotta contro il capitalismo, imperialismo e colonialismo. Come se anche noi che transitiamo in questi due padiglioni 25 e 26 non facessimo parte di quello stesso sistema capitalistico, o meglio liquido come direbbe Bauman, o vizio capitale di questo secolo come affermerebbe Galimberti.

E così, con ai piedi un buon paio di scarpe e con l’immancabile borsetta di Arte Fiera a tracolla, iniziamo la delizievole passeggiata percorrendo e soffermandoci nei diversi stand dove ai nostri occhi si presentano le diverse sezioni: alle classiche ‘Arte storicizzata’ e ‘Arte contemporanea’ si affiancano quest’anno ‘Percorso’ (che unisce diverse proposte legate al disegno), ’Fotografia e Immagini in movimento’, ‘Pittura XXI’ e ‘Multipli’, come se fosse necessaria una suddivisione in base ai media e noi avessimo necessariamente bisogno di una guida per poter discernere (cosa poi?). Tutti i Premi assegnati dall’edizione 2024 li potete facilmente trovare sul sito di Arte Fiera e dunque vi risparmio l’innumerevole lista in queste righe, così come l’elenco delle gallerie partecipanti, più o meno note, molte romane con sedi anche all’estero.

C’è tra i vari corridoi un bel ritorno alla pittura (e anche della ceramica) anche se la pittura, quella ‘bella ma bella bella’ non l’ho vista, nonostante la selezione delle opere convinca per chiarezza espositiva ed emergano ‘pezzi’ interessanti o storici (per citarne qualcuno Piero D’Orazio da Lorenzelli Arte ma anche da Edouard Simeons, Maurizio Corraini, Progettoarte ELM, Santo Ficara, Mucciaccia; Carla Accardi da Richard Saltoun, Edouard Simeons, Campaiola, Mucciaccia, Farsetti, Minini, Litografia Bulla; Marinella Senatore da Mazzoleni; Ettore Spalletti un po’ sparso tra Vista Mare, Edouard Simeons, Lia Rumma; Ugo La Pietra da Ca’ di Fra; ecc.).

Tra le proposte delle gallerie contemporanee, note a noi tutti in quanto ne abbiamo visitato spesso le mostre più o meno recenti (e quindi nulla di nuovo sotto questo cielo!) segnalo (così magari vi va di approfondire e casomai anche acquistare qualche buon pezzo per il vostro salotto(!)) Monitor con Matteo Fato e Lucia Cantò, The Gallery Apart con le opere di Bertille Bak, Marianna Ferratto, Federica Di Pietrantonio; Francesca Antonini con Alice Faloretti, Prometeo Gallery con Giuseppe Stampone e Silvia Giambrone; Traffic con Lorenza Boisi e Daniele Di Girolamo; le fotografie di Maria Vittoria Backhaus, Carolle Benitah, Rebecca Norris Webb da Alessia Paladini; Marta Spagnoli da Continua; Manuel Felisi alla Galleria Russo; ecc.; e poi le monografiche di Gianni Dessì da Umberto Benappi e di Gianni Asdrubali alla Galleria Gilardi. Alla rappresentanza dell’Accademia di Belle Arti di Bologna con le giovani Carlotta Amanzi, Alessia Cincotto, Sara Cortesi, Luca Finotello, Yuxin Shi, Gaia Terranova, si affianca la presenza di alcune Fondazioni: Bevilacqua La Masa, Golinelli, Massimo e Sonia Cirulli, Zucchelli; ed alcuni progetti come Do ut Do che esplora la tematica della Coscienza coinvolgendo 13 artisti in tre sedi espositive, tra cui lo stand in fiera curato da Mario Cucinella che ho trovato un po’ sopra le righe per la presenza eccessiva ed incombente delle scritte esplicative.

Uscendo dal complesso fieristico, la ricostruzione del Padiglione de L’Esprit Nouveau di Le Corbusier e Pierre Jeanneret per l’Exposition International des Arts Décoratifs di Parigi del 1925 insiste tranquillamente sul prato erboso, rimontato e riproposto da Giuliano e Glauco Gresleri e José Oubrerie, con la direzione artistica della Fondazione Le Corbusier di Parigi e restaurato nel 2018 dopo 40 anni dalla sua apertura. Dentro le opere del progetto fotografico della brava Luisa Lambri, per la serie di commissioni Opus Novum che Arte Fiera ogni anno affida ad un artista per un’opera inedita: con un focus sulla Chiesa di Santa Maria Assunta a Riola di Vergato di Alvar Aalto e sul Padiglione stesso, Lambri è attenta ai dettagli e alla luce. Sì interessante, ma il padiglione ingoia tutto (almeno per me che di architettura son cresciuta come a pane e vino).

Fine della storia. Ai progetti di Art City, diffusi per tutta Bologna, dedicherò un capitolo a parte.

À bientôt.

Foto: @Vittoria Di Patre, @Arte Fiera

@artefiera1

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