Padiglione Italia: un déjà vu annunciato?

DI ROBERTA MELASECCA

Adoro scrivere e adoro la lingua italiana. Scelgo ogni parola in modo accurato, declinando ogni minimo e preciso significato. Seleziono ogni aggettivo, ogni verbo e avverbio nell’ardore di generare un mondo immaginifico di immagini. Scrivere è procreare, dare vita: la realtà prende corpo e sostanza. La scrittura è una visione del mondo e della società e lo scrittore denuncia con essa un pensiero che, dapprima personale e soggettivo, si trasforma in comunitario e collettivo, esprimendo le istanze di un popolo, di una generazione, di una cultura.

L’arte, come la scrittura, contiene lo stesso potere, amplificato dalla visibilità reale di ciò che crea e dalle più ampie possibilità di ambire all’assoluto, al trascendente. Ogni scrittore, ogni artista, ogni architetto persegue una via, segue un percorso di crescita e ricerca che lo rende perfettamente riconoscibile ma contemporaneamente nuovo e diverso, perchè sempre differenti siamo giorno dopo giorno. Cambiano i pensieri al modificarsi della società in cui viviamo ed operiamo, si evolvono i desideri, tramutano e trasmutano le necessità, si attivano le connessioni, si fondono gli incontri e gli ascolti. I tempi di pace e di guerra, di costrizioni e libertà rendono più urgenti le sollecitazioni di maggioranze e minoranze e noi tutti confidiamo che l’arte possa essere quella voce, quella parola che abbiamo timore di proferire.

Questa è la speranza, almeno la mia, ogni volta che visito una mostra e ogni volta che, attendendo ben due anni, entro in ogni padiglione della Biennale di Venezia, ed ancor di più percorro il tragitto esterno dell’Arsenale che mi conduce al Padiglione Italia. Lo aveva preannunciato il curatore Luca Cerizza: il progetto dal titolo Due qui / To Hear, che si concentra sul lavoro di Massimo Bartolini, si sarebbe fondato sull’ascolto e sul suono, elemento già ampiamente affrontato dall’artista toscano in precedenti e recenti occasioni.

Uomo avvisato mezzo salvato, recita il proverbio, ma entrare nel Padiglione Italia, dopo un’ora e mezza di fila, è stato come vivere un déjà vu. Per mia grande sfortuna la prima tesa, dominata dalla lunga canna d’organo emettente un lieve e fisso la bemolle e sovrastata nella parte iniziale dalla piccola statua di un pensatore Bodhisattva, era silente e in ricarica (ma su questo primo lavoro tornerò in seguito); e dunque velocemente mi dirigo alla seconda tesa dove, se non fosse per le caratteristiche architettoniche del sempre difficile Padiglione Italia, potrei trovarmi certamente al Centro Luigi Pecci, nel bel mezzo di Hagoromo del 2022. Qui, come al centro d’arte di Prato, lo spazio è occupato da un’installazione in tubi innocenti, questa volta non lineare ma a mo’ di foresta o giardino all’italiana, che potrebbero essere assimilati alle visioni post terremoto (ma io direi di evitare tale metafora perchè solo chi vive nelle zone terremotate sa che bisogna entrare nelle immagini in punta di piedi), ma che nella realtà sono canne d’organo che risuonano delle note di Caterina Barbieri e Kali Malone. I componimenti delle due musiciste sono emessi anche da alcune canne d’organo in legno e da grandi carillon, i quali, dello stesso colore e fattura, si inserivano nella struttura del museo toscano, animate dai suoni di Gavin Bryars, artista chiamato a deliziare qui la terza tesa, quella del Giardino delle Vergini, tra alberi veri e fiori. Al centro del metallico giardino, Bartolini colloca, reiterando le visioni del Pecci, una delle sue Conveyance, sorta di fontana circolare dove l’acqua è sostituita da un’onda conica che sale e scende e sulla quale poter sostare e “mettersi in ascolto”.

E dunque, niente di nuovo sotto questo cielo e forse, se il Ministro Sangiuliano avesse visitato la mostra del 2022, avrebbe preso in considerazione anche gli altri due progetti sottoposti alla sua attenzione: dopotutto, come ha dichiarato il 19 aprile durante la presentazione del Padiglione, sua la colpa e la responsabilità di quella sera (tra le coperte invece di guardare un bel film!). Tralasciando il ministro, torniamo invece alle riflessioni sul percorso e sulla ricerca artistica, proprio perchè questo progetto per la 60° Mostra Internazionale d’Arte è stato da più voci definito un lavoro “maturo”, e mi chiedo e vi chiedo: un lavoro maturo è la riproposizione all’infinito di immagini già sperimentate e consegnate alla nostra vista? E soprattutto, la stessa immagine può essere declinata identica ma con significati differenti che la vorrebbero sottendere?

Perchè se al Centro Pecci suono, silenzi e materia sono parte di una visione intimistica, poetica e contemplativa, qui il tema dell’ascolto, evidenziato dallo stesso titolo e dalla falsa pronuncia inglese, deve invece rispondere all’invito di Adriano Pedrosa, Stranierə Ovunque. Luca Cerizza evidenzia come il primo passo per porsi in ascolto ed entrare in relazione con l’altro, eliminando così differenziazioni e particolarismi, sia ascoltare se stessi. E lo dimostra la presenza del Pensive Bodhisattva, personaggio iconografico che ha raggiunto l’illuminazione ma rinuncia ad essa consegnandola al mondo esterno attraverso un atteggiamento di inazione. E lo dimostra anche la fontana circolare dove ognuno di noi tende l’orecchio, nella concentrazione della dimensione personale, avendo solo a fianco il vicino di posto. Ma il déjà vu continua e le parole non corrispondono alle opere: Bartolini rimane anche in questo progetto intimista e contemplativo ed entrambi, artista e curatore, non riescono a rappresentare lo stranierə ovunque ma neanche il tema da loro proposto concettualmente. E vi svelo il motivo: oggi le urgenze che viviamo non ci permettono di incarnare la figura della passività e fermarci ai presupposti. Il vero ascolto esce dalla propria individualità, si connatura con l’altro da noi, impone scelte ed azioni. Spostare il centro da me a te. È un lavoro duro, che necessita sangue e sudore, rinunce e avvicinamenti, amori e lotte. Ascoltare e accogliere sono un impegno di mani e braccia. Entrare nel mondo non nostro è sfida di ogni giorno, da rinnovare in ogni momento, in ogni istante, perchè niente può essere mai dato per scontato, nulla è identico a se stesso. In questo modo, stranierə lo saremo sempre e tutti inevitabilmente ma saremo sotto lo stesso cielo, a guardarci in una linea orizzontale.

 

Padiglione Italia

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Massimo Bartolini, Centro Pecci, 2022

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INFO

Padiglione Italia
60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
20.04 – 24.11.2024
Tese delle Vergini, Arsenale, Venezia
Commissario: Angelo Piero Cappello
Curatore: Luca Cerizza
Artista: Massimo Bartolini

www.creativitacontemporanea.cultura.gov.it
www.duequi-tohear.it

Cartella stampa: https://lc.cx/L

 

In questo speciale Biennale Arte 2024 potete leggere:

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