Lo immagino il deserto, con il suo profumo arso di sole, rarefatto nel respiro, silente negli occhi, vibrante sotto i piedi e le mani. E lì, da lontano, Manal AlDowayan lo accarezza, lo guarda, lo assapora, ne sente la voce sommessa, si cosparge di linfe mai viste e di ombre annunciate. Si eleva un suono: passi all’unisono, contrappunti di inizio e fine, echi vicini. Lui canta, lei risponde, lui intona, lei incalza. Un canto d’amore straziato dall’essere in quel luogo, in quel momento, in quell’era di mutazioni e trasformazioni di cui lei è testimone attiva del suo presente.
Manal AlDowayan è nata per un motivo, per una missione di cui è pienamente cosciente e il suo percorso nella vita e nell’arte non è ricerca individuale e personalistica: è scoperta che si apre al mondo per divenire canto collettivo che risuona con il deserto. Dopo aver registrato il suono delle dune, invita donne e ragazze a cantare con lei seguendo i mormorii e i sibili. Realizza un corpo uditivo, invisibile, ma eternamente esistente, modificabile in un continuum di esperienze e narrazioni. Sono i lamenti, i gridi delle donne saudite che acquistano sostanza contemporanea nella raffigurazione di due elementi, quello naturale e quello culturale: se il primo è il fondersi con gli stessi granelli di sabbia, il secondo proviene dal canto di battaglia tradizionale, degli uomini che si muovono ritmicamente, un unico popolo, un unico sangue. Ora i canoni sono invertiti e Manal è assunta a cantrice del diritto di autorappresentazione della donna, per sradicare quell’immagine falsificata del corpo tramandato decenni dopo decenni.
Sussurra il deserto e si leva la voce è una creazione collettiva, è voce di una comunità femminile che si scopre energia potente e resistente, forza non visibile interagente nella sfera pubblica capace di stravolgere la storia di un intero paese. L’artista personifica i diversi momenti di interazione mediante l’iconografia della rosa del deserto che, nel Padiglione alla Biennale Arte 2024, prende le sembianze di grandi sculture in seta ad immagine di petali e cristalli che si susseguono come le dune, ora divenuti morbidi e malleabili, dai contorni neri come il carbone, neri come il destino delle donne oppresse e schiacciate dalle convenzioni e dagli stereotipi. Su di essi due tipologie di testi serigrafati in superficie: quelli sulle donne saudite tratte da quotidiani locali ed internazionali e quelli disegnati e scritti durante i laboratori e che mostrano cosa vuol dire essere donna, essere donna saudita nel XXI secolo.
Il Padiglione dell’Arabia Saudita, come altre ricerche presentate in questa 60° Esposizione Internazionale d’Arte, vuole ribaltare la narrativa occidentale-centrica che si focalizza sul valore oppositivo dell’esistenza di chi è altro, di chi è diverso. Siamo tutti stranieri ovunque, invece, tutti con le nostre storie profondamente differenti e preziose, tutti in viaggio, migranti di cuore e di anima, di pensiero e di azioni. Apriamo gli occhi, guardiamo nell’oscuro del globo, leviamo il nostro canto, alto.
FOTO E VIDEO PADIGLIONE ARABIA SAUDITA BY VITTORIA DI PATRE E BEATRICE DI PATRE
INFO
Padiglione Arabia Saudita
Sussurra il deserto e si leva la voce
60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
20.04 – 24.11.2024
Arsenale, Venezia
Commissario: Commissione Arti Visive, Ministero della Cultura
Curatrici: Jessica Cerasi, Maya El Khalil
Artista: Manal AlDowayan
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