Non siamo pronti per la morte. A volte, mentre alziamo lo sguardo dalla polvere e dalla terra, le nuvole ci appaiono strazianti, incessante sorpresa, fugace scoperta, condizione di vita mai certa, mutevoli al passaggio dei venti, una preghiera, una richiesta di aiuto, riconoscimento dell’inevitabilità, affermazione delle molteplicità, dichiarazione amorevole del tutto.
Lo sapeva bene Pessoa quando nel Libro dell’inquietudine le definisce crolli dell’altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente e, come lui, un passaggio sfigurato tra cielo e terra, in balia di un impulso invisibile, finzioni dell’intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo. Ne era consapevole Totò/Jago, nel film di Pasolini Che cosa sono le nuvole?, quando insieme a Davoli/Otello viene gettato in una discarica e, nell’unica condizione del loro essere con gli occhi sulle nuvole mai viste, ripete: «Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!».
Ne era certo anche Gilles Clément durante il suo viaggio a bordo di un cargo dalla Francia al Cile raccontato nel suo libretto Nuvole, nel quale consiglia a tutti di sperimentare la traversata di una nuvola, enumerando tutto ciò che vi è possibile trovare: «l’aggrovigliarsi delle scale; la continuità, l’uniformità; il disordine, l’agitazione; la protezione, il filtro; la serra; l’incudine; le impurità; poi la pioggia, il giardino; l’energia; l’assenza; lo spessore del tratto; il nome di una pianta; e forse anche, chissà: un ammasso di dettagli; un oggetto frattale; una struttura matematica; un campo analogico; il corpo di un animale; il velo strappato di Gaia».
E ne è convinto anche Elvio Chiricozzi. Ce lo svela nella sua ultima esposizione, S’imbeve di cielo, negli spazi de La Nuova Pesa, a Roma: una realtà di minimi tratteggi, nel silenzio immortale delle montagne, persa e ritrovata tra le nuvole, quelle prime e quelle ultime, quelle sonanti e quelle afasiche. Inermi ed estasiati, ci imbeviamo di cielo: ne siamo obbligati, non abbiamo scampo, non possiamo fuggire, siamo subito inglobati in un ammasso indecifrato di cui ben scorgiamo le fattezze. Ogni opera possiede due livelli di lettura, di distanziamento e di avvicinamento. Nello spazio che intercorre tra noi, esse appaiono l’oltre che non possiamo comprendere, il di più che vorremmo eliminare, la certezza che non possiamo proclamare. Nella sparizione delle dimensioni, si rivela invece l’addizione frattale del segno che si chiarifica in incroci di chiari e scuri, di bianchi e di grigi, di segmenti senza inizio e fine ma non per questo coincidenti in linee.
La grande tela nella sala d’ingresso, Suono per le nuvole, ci disorienta e allo stesso tempo avalla in noi la dimensione di una casa fluttuante, che appare e disappare senza dover essere appartenente ad alcuno. Abbaglia per l’indeterminatezza, conforta per la pretesa di quanto vivremo scorgendo, mentre volgiamo la testa cercando, ormai dispersi nel fitto disporsi della materia. Ed è qui che anche noi comprendiamo. Non siamo pronti per la morte. A volte non siamo pronti neanche per la vita e ci ritraiamo, desolati, lasciando il poco ma non andando via per la mancanza.
INFO MOSTRA
Elvio Chiricozzi
S’imbeve di cielo
con un testo di Giovanni Damiani
La Nuova Pesa
Via del Corso, 530 Roma
tel 06 3610892 – nuovapesa@farm.it www.nuovapesa.it
Fino al 21 giugno 2024
Orari: dal lunedì al venerdì 10:00 – 13:30 / 16:00 -19:30