Due volte nella polvere, due volte sull’altare

DI VALERIO MADDALON

È iniziata pochi giorni fa, il 26 luglio 2024, l’edizione XXXIII delle Olimpiadi: ad ospitarla fino all’11 agosto è questa volta Parigi, la ville lumière, a cento anni esatti dall’ultima volta. Parigi, è la seconda città dopo Londra ad aver ospitato per ben tre volte le Olimpiadi con le edizioni del 1900 e del già citato 1924.

La torcia olimpica, realizzata con un nuovo design – espressione di pace e uguaglianza –  ha dunque terminato il suo percorso ai giardini del Trocadéro, durante la cerimonia di apertura, passando nelle mani di grandi atleti che hanno fatto la storia dello sport francese e internazionale: un percorso iniziato il 19 aprile ad Atene, al momento dell’accensione, per poi proseguire attraverso tutta la Francia grazie agli sforzi e all’impegno di undicimila tedofori.

Le Olimpiadi sono il sogno di ogni atleta, il coronamento di un percorso divenuto stile di vita, l’Olimpo degli sportivi per l’appunto. Moltissimi hanno trionfato, altrettanti hanno inciso il loro nome nella Storia stabilendo dei record; tuttavia, le Olimpiadi sono anche la dimora dei “fallimenti”, delle mancate vittorie, delle lacrime versate.

Molti atleti anche solo per avervi partecipato, realizzano il solo sogno, dimostrando al mondo intero il loro valore, battendosi con onore; questo fu il caso di Eric Moussambani, atleta della Guinea Equatoriale, qualificato alle Olimpiadi di Sydney del 2000 senza aver soddisfatto i requisiti minimi, grazie a uno speciale incentivo dato ai Paesi in via di sviluppo. Moussambani imparò a nuotare solamente otto mesi prima, senza alcuna esperienza in piscina, avendo solo fatto pratica nell’oceano e in una piccola piscina di venti metri di un hotel di Malabo, la capitale. Nonostante tutto, completò la gara arrivando ultimo tra l’ovazione e l’incoraggiamento del pubblico. Negli anni a seguire acquisì notorietà, firmando contratti e divenendo l’allenatore della nazionale di nuoto del suo Paese nel 2012, portandola alle Olimpiadi di Londra dello stesso anno. Inoltre, la sua fama diede stimolo alla Guinea Equatoriale che decise per la realizzazione di due grandi piscine olimpioniche.

Come egli stesso afferma: “Sono un allenatore nazionale nella federazione nuoto della Guinea Equatoriale, la mia vita è cambiata completamente. Lavoro per garantire che il nostro Paese abbia buoni nuotatori, insegnando loro i fondamenti del nuoto. Almeno loro hanno l’opportunità di potersi allenare nelle piscine olimpiche. Sono un Eric diverso rispetto a 20 anni fa. Ho una moglie e quattro figli. Non sono ricco ma mi guadagno da vivere”. Moussambani continua a raccontare la sua esperienza di Sydney ai giovani: “Chiedo loro di avere molto coraggio, perché credo che, nella vita, quando si hanno degli obiettivi, bisogna perseverare per raggiungerli”.

Le Olimpiadi sono inoltre teatro di rivincite a livello personale e sportivo, come la storia di Micheal Johnson. Johnson, soprannominato “Forrest Gump” per il suo stile particolare di corsa, vide sfumare per due volte l’occasione di partecipare alle Olimpiadi di atletica, la prima nel 1988 a causa di un infortunio, la seconda nel 1992, non riuscendo a qualificarsi per la finale. Non si perse d’animo. Fresco della vittoria ai campionati mondiali, ottenne la qualifica per le Olimpiadi del 1996 di Atlanta, preparandosi per l’impresa impossibile mai riuscita a nessun atleta prima: vincere sia i 200m che i 400m. Così fu, riuscendo a trionfare in entrambe le gare, stabilendo inoltre il record mondiale dei 200m durato ben 12 anni. Oggi Micheal Johnson dedica la propria vita all’insegnamento dei giovani, mettendo a disposizione il suo bagaglio di esperienze per la formazione di nuove generazioni di atleti attraverso la Micheal Johnson Performance. La lezione fondamentale dell’ex campione è quella di non mollare mai, di perseverare e di tenere ben saldo in mente l’obiettivo da raggiungere; in uno dei suoi discorsi asserisce: “La MJP fornisce un allenamento innovativo agli atleti di tutti i livelli – dai giovani ai professionisti – sulla base di ricerche e dati scientifici; la struttura fornisce servizi di allenamento e riabilitazione ad atleti professionisti e olimpionici di tutto il mondo”.

Un altro atleta che seppe riscattarsi fu Micheal Phelps, un ragazzo che partecipò appena quindicenne alle Olimpiadi di Sydney del 2000, posizionandosi quinto in finale. Allenandosi assiduamente, anche grazie alla sua particolare forma fisica che lo rendeva molto adattabile e resistente, riuscì ad accumulare vittorie in vari campionati mondiali, aprendosi nuovamente la strada alle olimpiadi del 2004 di Atene. In quell’edizione seppe riscattarsi, vincendo sei medaglie d’oro e due di bronzo in varie competizioni tra cui 100 e 200m farfalla, il suo stile per eccellenza. Phelps così divenne il secondo nuotatore di sesso maschile a ottenere più di due ori individuali, oltre che eguagliare il record di medaglie vinte. Il riscatto di Phelps non fu soltanto sportivo ma anche personale, poiché dovette combattere a più riprese contro una depressione che lo attanagliava dopo ogni gara. Dopo il suo trascorso, decise di intervenire in prima persona, aprendo una fondazione, offrendo sostegno e percorsi a tutti coloro che necessitano aiuto, come egli ricorda: “Tante volte mi sono chiesto perché non ne avessi parlato prima, ma probabilmente non ero pronto. Ero molto bravo a dividere in compartimenti le cose e a non parlare dei miei problemi, certe cose non ho mai voluto vederle. Adesso ho capito che a volte sentirsi bene non significa stare bene”. Phelps si augura che parlandone pubblicamente possa spingere le persone con disagi psichici ad aprirsi e chiedere aiuto. “Uno dei motivi principali per cui i tassi di suicidio sono in aumento è che le persone hanno paura a parlare del loro disagio. L’unico modo per far sì che le cose cambino è che le persone chiedano aiuto. La capacità di aiutare gli altri alle prese con problemi di salute mentale è stata molto più potente di qualsiasi impresa atletica. Quei momenti, quelle sensazioni e quelle emozioni per me sono anni luce migliori rispetto a vincere la medaglia d’oro olimpica. Sono estremamente grato di non essermi tolto la mia vita”.

In ultima sintesi, parliamo di riscatti morali e metaforici, oltre che fortemente ideologici. Ci troviamo alle Olimpiadi di Berlino del 1936: il Terzo Reich di Hitler elogia e propaganda questi giochi come il trionfo della razza ariana sulle altre razze, la superiorità della Germania sulle altre Nazioni. A partecipare in quell’edizione, tuttavia, c’è un giovane ragazzo di colore della nazionale Statunitense, che qualche anno prima si era fatto notare per la sue grandi prestazioni in atletica, andando addirittura a stabilire il record del mondo in salto in lungo di 8,13m (durato fino al 1960): Il suo nome era James Cleveland Owens, detto Jesse, soprannome datogli da un’insegnante che, durante il periodo scolastico, quando il piccolo James disse di chiamarsi J.C, non comprendeva bene il suo marcato accento del sud. Jesse Owens vinse a Berlino, sotto gli occhi del Führer e della Germania, ben quattro medaglie d’oro, andando a battere un tedesco, Luz Long nella disciplina del salto in lungo, posizionandosi primo. Con grande coraggio e forza seppe dimostrare tacitamente al mondo di allora che il mito della Germania al di sopra di tutto e tutti era battibile. Iconica fu la foto del podio e ancora più iconico fu il saluto che egli scambiò con Hitler, ricordato nelle memorie dello stesso Jesse.

In conclusione, possiamo affermare che le Olimpiadi non sono solo vittorie e fasti, non sono solo storie di sacrifici e sogni, sono anche storie di uomini e donne che dal basso sono riusciti a riscattarsi, che dalla debolezza, dalla vulnerabilità hanno trovato la forza di rialzarsi e andarsi ad annoverare fra le leggende dello Sport.

 

Immagine: copyright-paris-2024

 

G-66PL6CNJ8R