Intervista a Roberto Biagiotti, regista e produttore musicale

DI ROBERTA MELASECCA

In occasione dell’evento IOSONOVULNERABILE – fallire è una conquista, arte è amare l’errore, curato da Sergio Mario Illuminato e riconosciuto tra le Buone Pratiche Culturali della Regione Lazio, VULNERARTE MAGAZINE seguirà da oggi tutti i protagonisti di questa straordinaria iniziativa. L’evento, che si terrà dal 3 ottobre al 29 novembre 2024 presso l’Istituto Italiano di Cultura a Parigi, esplorerà la vulnerabilità umana attraverso una pratica performativa transdisciplinare che unisce artisti e creativi emergenti in un dialogo tra diverse forme espressive.

Intervista a Roberto Biagiotti, regista e produttore musicale

Roberta Melasecca (R M): Benvenuto Roberto, in questo spazio dedicato agli approfondimenti di ‘iosonovulnerabile’. Con la presentazione all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, siamo giunti al secondo capitolo di questo progetto che vede te tra i vari protagonisti che hanno dato vita, attraverso la residenza artistica ‘Officina Alchemica delle idee’ all’exCarcere di Velletri, alla ricerca trasdisciplinare incentrata sul tema della vulnerabilità. Come è nata questa collaborazione con Sergio Mario Illuminato e con gli altri artisti? E quale è stato fin dall’inizio il tuo contributo?

Roberto Biagiotti (R B): Ho conosciuto Sergio Mario Illuminato grazie alla comune amicizia con Rosa Maria Zito, circa 2 anni fa. Mi piace pensare che in una fase molto delicata della mia esistenza in qualche modo i piani sottili ci abbiano avvicinato. Ammetto che, inizialmente, la straordinaria forza comunicativa di Sergio, la gravità e l’urgenza con le quali mi ha esposto parti della ricerca e del progetto ma anche la complessità della sua dialettica mi hanno un poco scioccato! Al tempo stesso il suo modo di proporsi, diretto, schietto, crudo ma delicato, l’originalità e l’attualità del tema proposto, la possibilità che mi offriva di calarmi con un gruppo di artisti nei corridoi di un carcere dismesso, luoghi che potrebbero rappresentare gli anfratti più oscuri del nostro animo ma che simboleggiano anche la nostra intima capacità e il desiderio di affrontarli, di superarli, mi hanno convinto e mi sono immerso in quest’avventura dove tutto era incerto e da scoprire, da scrivere e da rappresentare, senza ausilio, almeno per il sottoscritto, di una letteratura di riferimento. Poi avevo anche bisogno di soldi e ho pensato: “oh questo qui magari mi porta al vello d’oro!”. Scherzi a parte, nel progetto sono entrato in punta di piedi: sebbene io ami l’arte, non mi ritengo proprio un’artista nel senso canonico ma più un artigiano, sicuramente con competenze che si affacciano in varie discipline artistiche, sviluppate attraverso la curiosità che mi spinge a ficcare il naso un po’ ovunque. Ho cercato di portare a Sergio e al collettivo di artisti in generale un contributo molto tecnico, inventando insieme soluzioni per affrontare i problemi di natura fotografica, cinematografica, di illuminazione, di proiezione, di diffusione sonora e altre fesserie professionali. È stato divertente e avvincente: la capacità di tutti di ascoltare e assorbire in fretta ma anche il fatto che spesso da un mio piccolo input o suggerimento si trovassero altre strade o soluzioni alternative ha reso il lavoro più proficuo e snello, almeno per me!

R M: All’exCarcere di Velletri il tema centrale della vulnerabilità è stato indagato anche attraverso lo strumento del cinema e della fotografia, propri della tua ricerca artistica e del tuo lavoro: quale l’approccio utilizzato nella scelta delle inquadrature per comunicare i diversi temi che avete scandagliato durante la residenza?

R B: Come operatore ho cercato di assumere uno sguardo molto onesto, il più possibile scevro da effettacci o manierismi, ho tentato di essere quanto mai fedele alla scrittura filmica e alle intenzioni della regia, che mi offriva tuttavia grande respiro e libertà di proposta e di ricerca. Nella prima fase esplorativa dell’Excarcere ho speso molti passi ad ascoltare l’ambiente: quella polvere così malsana, l’odore acre della carta degli archivi ingiallita, gli insetti aggressivi, le muffe e la vegetazione dirompente mi davano l’idea che essi avessero aggredito quei luoghi nel tentativo di ripristinare una normalità, dove di normale per decine di decenni non c’era stato forse nulla. Questo ascolto e queste riflessioni mi hanno convinto ad usare, attraverso lo strumento cinematografico, la chiave del realismo minimale, prendendo, come unica licenza concordata con il regista, la possibilità di piegare il punto di vista a seconda che lo sguardo in camera fosse del luogo, del protagonista o degli Organismi Artistici Comunicanti.

R M: Il Cortometraggio Vulnerare (lo vedremo in anteprima durante il giorno dell’inaugurazione il 3 ottobre) è l’ultima testimonianza del patrimonio storico dell’exCarcere Pontificio di Velletri, custode di memorie tragiche e di quanto più ‘vulnerabile’ esista: quale il legame e la correlazione tra vulnerabilità umana e forza creativa?

R B: Per quel poco che ne so, la vulnerabilità è insita in tutte le cose dell’universo, ogni materia è in qualche modo fragile e corruttibile, tutto inevitabilmente si deteriora e si trasforma in altro, un processo dinamico senza soluzione di continuità, e questo trasformarsi non è forse anche la rappresentazione di come la nostra mente abbia incessantemente bisogno di creare, di trasformare, di rompere, di impastare, di fondere, di astrarre, di muovere noi stessi e le cose che ci circondano? Potremmo restarcene comodamente e beatamente seduti all’infinito davanti alla nostra serie preferita, goderne infinitamente il gratificante contenuto, ma abbiamo bisogno che qualcosa cambi, è più forte di noi, facciamo zapping.

R M: La tua attività di regista, direttore della fotografia e produttore musicale si affianca al tuo lavoro come insegnante. Nel terzo capitolo di ‘iosonovulnerabile’ che prenderà vita a Villa Altieri a Roma dal mese di dicembre, saranno coinvolti anche alcuni studenti e alcune studentesse dell’Istituto Superiore Piaget-Diaz: in cosa consisterà il contributo dei giovani e quale il percorso che state facendo?

R B: Sì, in effetti circa trenta tra studentesse e studenti delle attuali classi IV e V dell’indirizzo Servizi Culturali dello Spettacolo hanno aderito con entusiasmo al progetto mostrando grande sensibilità verso il tema della vulnerabilità. Lo scorso anno scolastico gli alunni coinvolti hanno infatti partecipato a degli incontri con il curatore del progetto, Sergio Mario Illuminato, e con Rosa Maria Zito durante i quali, in uno stimolante processo orizzontale di dibattito e confronto, hanno affrontato il tema della vulnerabilità, le sue implicazioni, le ricadute nel quotidiano. Uno dei focus verteva su come la fragilità ci esponesse al dolore e alla sofferenza e come spesso ci allontanasse dagli altri, perché essere vulnerabili è ancora oggi, mentre starlink illumina bizzarramente i nostri cieli notturni, un arcaico tabù, perché il vivere quotidiano ci spinge ad assimilare ciò che è fragile come un’idea negativa, qualcosa che conduce al degrado del singoli e del gruppo, qualcosa da scansare, l’autostrada per l’emarginazione e l’isolamento. Se riusciamo invece a spostare un poco il nostro baricentro emotivo, al prezzo forse di un importante atto di resilienza, la stessa vulnerabilità ci apre inevitabilmente ad una rinascita/crescita, ci avvicina all’altro, ci rende davvero umani. Il punto di vista degli studenti e delle studentesse mi ha costretto a riflettere anche sul mio percorso di vita, sulle mie ineluttabili trasformazioni e sulla caratteristica vivacità creativa dei giovani, non soltanto da un punto di vista artistico ma anche su quello della loro straordinaria capacità di rottura degli schemi, di cambiamento e adattamento. A partire dalla condivisione di queste riflessioni, in questo inizio di nuovo anno scolastico, i giovani stanno poggiando il loro sguardo sul tema con proposte artistiche transdisciplinari che includono la scultura, la fotografia, la musica, il cinema, la video arte, ed altre forme artistiche; sono piacevolmente colpito dalla loro capacità di esprimersi, di mescolare e rielaborare, con fresca irriverenza, idee e concetti su cui abbiamo dibattuto per settimane; dal mio punto di vista i giovani hanno quella forza e quella voglia di essere testimoni che li spinge ad andare oltre nel contenuto anche quando la forma non ha raggiunto la maturità, ma è così che a volte trasformano un po’ il sentire comune, il costume e la società.

 

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