La Francia in Scena

DI SERGIO MARIO ILLUMINATO

Dal 23 maggio al 2 dicembre parti per un viaggio inedito nella creazione contemporanea francese: la Francia in Scena – Saison Artistique de l’Institut Francais d’Italie. 70 spettacoli, 170 appuntamenti in 36 città italiane. Musica (Chassol, Vaudou Game, La Femme, Cosmo, Danza (Francois Chaignaud e Petitpierre, Wang Ramire, Pockemon Crew, Christian Rizzo, Naceria Belaza, Generation Belle Saison, Cirque Inacheve, Stereoptik), Circo (Circo El grito & Acolytes, Compagnie 111, Cie LPM, La Contrebande, Mattatoio Sospeso, Cie du Chaos), Arti visive (Xavier Veilhan, Rero & Mark Jenkins) …e tanti altri. Il programma completo su https://www.institutfrancais.it/

Abbiamo incontrato Anouk Aspisi, Addetta Culturale Institut Francais in Italia

Partiamo dagli ultimi eventi drammatici. Che significato riveste la cultura in un momento in cui combattere il flagello del terrorismo, e tenere al sicuro il Paese, è la priorità di molti governi non solo europei?

Affermare la propria identità senza usare la violenza è possibile.

Certamente dialogare oggi sulla complessa realtà della politica estera dei diversi governi, i conflitti economici, i problemi di una società fortemente in crisi, non è affare semplice e alla portata di tutti. Fortunatamente, però, continuiamo ad avere una chiave di lettura potentissima del mondo, che rende accessibile le persone le une alle altre, e svela nel profondo un senso di umanità comune: l’arte. Questo sottile strumento di creatività permette di toccare con il corpo, la voce, la musica e la stessa spiritualità, la gente in modo più diretto e di mantenere un filo di dialogo multiculturale e multidisciplinare che consente di esprimere un confronto altrimenti difficile.

Non nascondo che è comunque complicato fruire liberamente di produzioni artistiche quando hai paura di poterti improvvisamente ritrovare al posto giusto nel momento sbagliato: della violenza fisica terroristica. Ma è significativo che dopo i primi momenti di sgomento a seguito di attacchi vili subiti, le persone giustamente superano la titubanza e alla fine si riaffacciano sempre alla vita sociale e culturale. Poi l’Istitut Francais, soprattutto in questi ultimi anni, si sta sforzando di promuovere progetti con un mix di nazionalità tra le personalità artistiche coinvolte che possa rispecchiare la multietnicità della stessa società francese.

Dicevamo dell’importanza dell’azione della Cultura contemporanea, oltre alla salvaguardia del patrimonio artistico immenso del passato che i nostri paesi possono vantare. Ma come formare le nuove generazioni? Come far crescere la curiosità di questi nuovi pubblici e spingerli, quindi, a fruire della cultura contemporanea? Che poi è il tema ricorrente, quello di riuscire a rinnovare il pubblico, non limitando l’espressione creativa.

Si. Questa domanda tocca uno dei temi centrali a cui sto lavorando da 3 anni. In Francia da qualche anno è stata fatta una fotografia dello stato generale delle molte organizzazioni che lavorano con l’infanzia e la gioventù:  ospedali, centri culturali, associazioni locali… Chi si occupa dei bambini? E come se ne occupa? Per noi la trasmissione dell’educazione artistica (da noi si chiama così) si realizza coinvolgendo i bambini a 360°. Non solo nella costruzione dell’opera creativa, ma anche riguardo il luogo dello spettacolo che deve avere una dimensione consona, o riguardo all’ergonomia delle sedie per una fruizione corretta e tanto altro. Anche sul versante dei soldi necessari alla produzione: lavorare per spettacoli per bambini non significa lavorare in economia. Tutto, quindi, s’inquadra in un programma articolato, sugli obiettivi, le risorse, gli strumenti creativi, le sinergie.

In Francia il come avvicinare i bambini all’arte contemporanea, il come funziona la mediazione culturale, l’impegno delle scuole e dei professionisti convergono in un laboratorio continuo che funziona con spettacoli itineranti e coinvolge soprattutto i centri di cultura delle periferie e anche le biblioteche. Un buon esempio per capire come funziona è, a Roma, Andrea Satta dei Têtes de Bois. Lui è un pediatra, musicista, poeta e scrittore. Ha fatto scrivere delle ninnenanne alle mamme dei bambini che vengono nel suo studio medico, e poi le fa interpretare negli spettacoli che organizza, ed è una cosa che funziona perché la gente si senta rappresentata e quindi stimolata a scrivere la sua ninna nanna, è un modo sano e immediato per poter condividere la sua cultura con quella degli altri… 

Tornando, quindi, alla domanda: come formare nuove generazioni e, al contempo, stare al passo con una produzione artistica in piena trasformazione, la risposta è dare priorità alla domanda, non all’offerta. Voglio dire che bisogna puntare ai territori locali e in maniera sistematica legare la produzione creativa di musica, danza, teatro e quant’altro alla curiosità culturale che sale dal basso. Nella scuola sta sempre più emergendo la necessità, per esempio, di dedicare un certo numero di ore di formazione ai bambini sulle attività circensi, e la didattica si adegua conseguentemente. Poi scopri che nella regione di Périgord vengono attrezzati 11 tendoni che funzionano quasi tutta la giornata fino alla sera, e la gente compra il biglietto e riempie le sale. Se tu educhi il pubblico e mantieni prezzi accessibili, le famiglie e le comunità rispondono positivamente.

Nel territorio trovi, dunque, la risposta e le possibilità espressive. Non solo le scuole, ma anche i musei svolgono una funzione determinante nel fornire strumenti di comprensione rispetto ai fatti storici per esempio.

A Bordeaux, partendo dall’indagine sui discendenti degli schiavi, è stato chiesto ai ragazzi di fare un film che potesse collegare cittadini di oggi al loro lontano passato. Il museo è servito agli adolescenti per fare un lavoro di analisi e studio che sicuramente apre delle finestre mentali importanti.
Ecco, tutto ciò rientra nella politica culturale intesa come eccezione e difesa, anche fiscalmente.

Con questa rassegna si sono consolidati i legami e migliorate le condizioni del dialogo culturale e artistico importante, aperto  tra Francia e Italia. Sappiamo che l’iniziativa prevede il rafforzamento di progetti specifici per quanto riguarda i conservatori, le scuole di belle arti e l’architettura. Quali sono gli obiettivi e i punti di forza di questo programma?

Iniziamo da quello che riguarda i Conservatori che è il progetto più saldo perché funziona da 7 anni ed è stato rinnovato anche per quest’anno e si spera in una nuova firma per il periodo 2018-2020. Triennale, si, perché solo così si può fare un bilancio più articolato di cosa ha funzionato meglio.

La musica rappresenta un legame forte tra l’Italia e la Francia fatto di influenze e uno scambio continuo. L’idea del progetto specificatamente dedicato ai Conservatori è il confronto delle didattiche applicate con l’obiettivo finale di omologare i diplomi di ciascun paese affinché possano avere validità in entrambi. C’è, per esempio, un gemellaggio importante tra Bologna e Lione che permette di svolgere un master con i fondi europei che si segue nelle due scuole e alla fine consegui un doppio diploma.

Ai Conservatori associamo poi il progetto sull’Architettura. La sinergia che ne facciamo scaturire permette di concretizzare la vicinanza di artisti e architetti che danno significato vivo alla relazione tra corpo e spazio, volumi. Quindi si avvicinano alla costruzione con la piena consapevolezza della sua funzione e delle dinamiche future di scuole, musei, abitazioni vitali, dunque. A riguardo è significativo il progetto pilota che sta seguendo la facoltà di architettura di Montpellier e quella de La Sapienza di Roma. Questo progetto vuole essere una sorta di incubatore di idee degli studenti che vogliamo aprire anche alla Germania, per arrivare ad un dialogo europeo concretamente gestibile.

Tutta la nuova generazione cresce su base multiculturale. Erasmus è stato un primo avamposto, ma oggi è proprio esperienza vissuta non marcare le frontiere tra un paese europeo e l’altro e abbeverarsi di continuo di una comunità dove è normale studiare all’estero, sposarsi in una città diversa dal paese dove sei nato, lavorare in un luogo ancora differente. Le istituzioni, quindi, devono rispondere a queste nuove dinamiche e dare soluzioni concrete per far funzionare un sistema condiviso di formazione, lavoro e stato sociale. Gli artisti, un esempio pratico dal punto di vista legislativo, devono poter confrontarsi con una fiscalità e sbocco pensionistico che tenga conto di questa circolarità di azione.

Il terzo progetto di cooperazione italo-francese a cui puntiamo è quello sulle arti visive per far crescere una nuova generazione di creativi. Qui il massimo sforzo è incrementare un dialogo serrato tra i curatori e gli organizzatori dei due paesi e sostenere le reti professionali a vantaggio di un mercato d’arte che si possa muovere meglio negli scambi internazionali e valorizzare la visibilità di sempre più talenti. L’accademia di Francia in Italia sta facendo un egregio lavoro a riguardo insieme a delle strutture espositive come il Maxi di Roma per esempio.   

Mi pare che emerga sempre più evidente nel programma della rassegna l’importanza delle reti artistiche e culturali già presenti nel territorio. Qual è il valore aggiunto che l’iniziativa porta per far crescere questi specifici canali di produzione e distribuzione della cultura?

Questo è il focus del nostro lavoro: le reti trans-disciplinari e multidisciplinari legate ovviamente a progetti europei. E’ importante quanto necessario creare sinergie essenziali tra paesi europei per far circolare realtà artistiche altrimenti relegate in spazi di poca visibilità e capacità di crescita: solo così circolano nuovi talenti, testi contemporanei nelle varie lingue, e si arricchiscono reciprocamente nello scambio e nel confronto.

E gli italiani sono sempre più bravi a riequilibrare le poche risorse statali con l’ottimizzazione derivante dalla coproduzione in rete e quindi, in termini economici, dal supporto delle istituzioni europee.

Contando sulla preziosa capacità di avere una visione e un programma condiviso, accade anche che i nostri 93 istituti di cultura possono promuovere l’arte italiana in tutto il mondo. 

Lei conclude il suo mandato all’Istituto Francese durato 4 anni. I risultati a detta di tutti gli operatori culturali sono stati importanti. Qual è la sua riflessione finale?
Quale obiettivo raggiunto vanta soprattutto, e quale azione avrebbe voluto perseguire maggiormente nel prossimo futuro?

Per me è stato davvero molto importante aver cercato di conquistare negli anni la fiducia e il dialogo con gli operatori professionisti culturali italiani, su una base di condivisione artistica dei progetti e, soprattutto, di una visione del mondo. E questo non è mai scontato. Questo mi ha permesso di garantire una continuità alle risorse economiche del governo francese che si è reso conto – risultati alla mano – dell’importanza della collaborazione.

Devo dire che ho trovato gente preparatissima in Italia, soprattutto sul versante giovani.

D’altra parte mi urge evidenziare la necessità di migliorare il dialogo tra le istituzioni straniere, al fine di snellire le procedure burocratiche, a volte troppo macchinose e inaccessibili, che non permettono alla genialità italiana di potersi pienamente esprimere e rivendicare il successo delle attività, che in altri paesi potrebbe rappresentare un ottimo bacino finanziario per lo Stato.
Comunque, questo continua a essere il bello dell’Italia. Questa meravigliosa capacità di saper trasformare i disagi, gli ostacoli, le crisi, in enormi opportunità, saper intercettare nella disorganizzazione quegli interstizi fertili nei quali si possono far fiorire miracoli.

L’Italia ha questa geniale ingegnosità di fare tantissime cose con poco: ecco per me questa si chiama creatività!

Una mia carissima amica che viaggia tantissimo, mi dice sempre che lei adora l’Italia perché le sembra di stare in un film, ecco… ogni tanto però ci sarebbe bisogno di un po’ di “normale e semplice realtà”.

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