Ogni donna conserva un segreto. Si annida in uno spazio interstiziale e percorre una linea continua che sale dai piedi alle ginocchia, sosta tra il grembo e il petto, soffoca la gola e si infiltra tra gli occhi. È una consapevolezza che tira la pelle, non consente spiegazioni. Scegliere o subire, non è importante. È una promessa di futuro: sta lì, la vedi ogni giorno, ogni momento. Ricorda possibilità e impossibilità, mancanza e accadimento.
Giovanna Lacedra mi guarda negli occhi, dritta, senza vacillare, e le sue labbra mi confidano la pelle vissuta, il vento che le passa sopra. Mi dice: le non madri come me. Mi racconta delle non madri come me, degli sguardi, dei dinieghi, delle sferzate violente.
A tante non madri come me attacchiamo una etichetta: un cartellino dietro al collo che definisce la loro origine e conferma che senza la maternità una donna è meno donna. Tentiamo ogni giorno di tagliarlo con le forbici ma lui ricompare immediatamente, appena voltiamo la faccia.
Nel cartellino lo spazio è poco ed è impossibile scriverci sopra una vita.
Roberta Melasecca (R M): Benvenuta Giovanna nel nostro spazio libero di approfondimento di VulnerarTe Magazine. La tua prossima performance, Ninna Nanna, affronta un sistema di convenzioni che nasce dalla nostra cultura occidentale e da come essa considera la figura e il ruolo della donna nel tempo e nella società. Cosa ti ha spinto ad indagare un tema così controverso?
Giovanna Lacedra (G L): Grazie Roberta per aver scelto di pormi qualche domanda circa il mio ultimo progetto e la mia pratica performativa. Lavoro con la Performance Art ormai da 14 anni e già in due progetti precedenti ho toccato e affrontato il tema della maternità.
Il primo risale al 2014, si intitola “Edge – Ultimo Ritr-Atto”, è una azione liberamente ispirata all’omonima poesia di Sylvia Plath, l’ultima che scrisse pochi giorni prima del suo suicidio, e tratta il tema dell’amore materno che a volte non sa superare l’amore mancato nella sua infanzia, tanto da generarle dentro un vuoto abissale e un feroce bisogno di ritornare al grembo, paradossalmente morendo.
Il secondo, del 2017, si intitola invece “Amplexus Mater” e tratta la maternità da un punto di vista istintivo, primordiale, ancestrale, carnale, l’essere madre e mammifero, essere un animale che dona la vita, che grida e soffre e si apre, per portare fuori dal proprio corpo un altro corpo, dalla propria carne la carne di un figlio, il suo sguardo, il suo battito e il suo respiro. Ero nuda in quella azione, ma completamente cosparsa di argilla, direi vestita di argilla, ero Madre Terra ed ero un animale; tra le mie gambe divaricate, seduta sul terreno, plasmavo dell’argilla informe, tramutandola davanti al pubblico in un neonato appena partorito che ho poi attaccato al mio seno di fango.
Sabato 5 ottobre, invece, in occasione dell’Ottava Edizione di Milano Scultura – fiera dedicata alla scultura contemporanea – porterò in scena una performance inedita, che ho voluto intitolare semplicemente “Ninna Nanna”. Perché la ninna nanna è il dolcissimo canto che ogni madre sussurra al proprio piccolo per farlo addormentare e dunque evoca la dimensione intima e tenera della relazione madre-figlio. Ma in questa azione esiste una madre innamorata di un bambino che non c’è. La performance si svolgerà in una dimensione spazio-temporale al contempo autistica e relazionale: una madre mai stata madre vive e culla quel figlio mai avuto, quel figlio che non c’è ma che tanto le abita la mente da esserci quasi, in una dimensione parallela. Sarò, durante questa azione, tutte le madri mai state madri, tutte le donne oltre i quaranta anni che, come me, madri non lo sono diventate e alle quali la nostra società, apparentemente così emancipata, fa ancora pesare questa mancanza. Perché le non madri come me, come spesso si dice, non possono capire i bambini, non possono capire gli adolescenti, non possono capire le madri vere, non possono capire il sacrificio, non possono sapere quanto sia faticoso; alle non madri come me si fa pesare la vita libera, leggera e spensierata, che senza figli sembrano avere; sulle non madri come me esistono troppi pregiudizi. Ma soprattutto alle donne senza figli come me si pone spesso e con assoluta indelicatezza la domanda: “come mai non hai figli?”. Ecco, trovo che questa sia la peggiore delle domande ad una donna senza figli che ha superato i quarant’anni. Perché la risposta ad una domanda simile, il più delle volte, non è affatto semplice, non è chiara neppure alla donna a cui lo stai chiedendo, è un coltello che giri in una piaga che neppure sai quanto profonda sia. Una domanda simile è assolutamente inopportuna. Il più delle volte fa male, rimescola ferite, mancanze, frustrazioni. Se non sono madre non devo spiegarlo a nessuno. Non dovrei. Se non sono madre non dovrei essere tenuta a rispondere ad una domanda del genere. Il messaggio che vorrei far passare con questa azione, durante la quale cullerò un bimbo mai nato da me, è esattamente questo: non armatevi di pregiudizi di fronte ad una donna che non è madre e non domandatele mai per quale ragione non lo sia. Perché la verità è che non essere madre può essere stata in qualche caso una scelta, ma in molte altre può essersi trattato di un destino subito. Una donna che non ha figli potrebbe non averne voluti o potrebbe non averne potuti avere. E il dolore che vive una donna, che avrebbe voluto diventare madre ma non è riuscita ad esserlo o che ha perso un figlio e anche più di uno, non conosce parole che possano esprimerlo appieno.
(R M): La maternità è sempre e comunque una scelta, qualsiasi sia la sua configurazione. Tu hai scelto di approfondirla attraverso la performance e, dunque, attraverso il corpo: il corpo per rappresentare e personificare il corpo. Cosa dice di più il corpo rispetto agli altri strumenti e manifestazioni dell’arte contemporanea?
(G L): Ah beh… il corpo è un linguaggio. È il linguaggio dei linguaggi. Il corpo è un linguaggio senza filtri. È un linguaggio nudo. E lo è da sempre. Prima del linguaggio verbale, prima del linguaggio visivo, prima di ogni altro linguaggio esiste la voce del corpo, la sua gestualità, l’espressività di un volto, l’eloquio dello sguardo, il discorso nascosto dietro ad una postura. E poi il corpo utilizzato in performance è uno strumento potente, proprio perché la performance art, quella vera, non contempla distanze. Quando performi tu sei autentica. Sei libera anche dai vincoli che i diversi ruoli imposti dalla società ti stringono addosso. Quando performi sei nuda anche se sei vestita. Sei vera e vuoi esserlo a tutti i costi, sei il tuo corpo e sei l’artista, sei l’autore e sei il suo strumento, sei la mente e sei materia. Con il corpo ricrei te stessa e generi vulnerabilità, sveli, sussurri, manifesti, provochi reazioni. Il corpo in performance è molto vicino agli spettatori, è come se il messaggio, il contenuto, il grido dell’opera valicasse i confini di una ipotetica cornice o venisse giù da un piedistallo, e ti toccasse, all’improvviso. Per farti arrivare tutto, e subito. Io interagisco moltissimo con gli spettatori durante le mie performance, mi avvicino a loro, li tocco, li abbraccio, consegno loro qualcosa, ma soprattutto li guardo sempre dritto negli occhi. La capacità che lo sguardo ha di agganciare l’altro, nella sottigliezza della sua sensibilità, è qualcosa di impareggiabile. Il corpo in performance è l’opera che va addosso allo spettatore. Immagina la Monnalisa che esce dalla sua cornice ed entra nel tuo spazio, nel tuo presente, nella tua realtà. Si avvicina, ti parla, ti guarda negli occhi, ti tocca. Ecco, il corpo in performance provoca qualcosa del genere.
(R M): Quali sono gli elementi principali che contraddistinguono le tue azioni performative? E quale sarà il fulcro della tua nuova performance?
(G L): Credo di poter essere più breve in questa risposta poiché a mio avviso ho già detto molto nelle altre due domande. In merito agli elementi che contraddistinguono le mie performance, aggiungerei che oltre alla dimensione della gestualità, dello sguardo, del contatto sempre presente con il pubblico, ciò che contraddistingue le mie azioni performative lo ha ottimamente descritto la nota critica d’arte Alessandra Redaelli in una intervista per EspoArte di qualche anno fa, per cui metto tra virgolette la sua descrizione del mio lavoro in quanto la trovo assolutamente pertinente:“Con uno stile elegante, lento, giocato soprattutto sul potere magnetico dello sguardo, e una messa in scena curatissima nella quale ogni oggetto ha una forte valenza simbolica, l’artista affronta temi complessi, urticanti, di cui si fa fatica a parlare. E la sensazione, vedendola lavorare, è che la storia che sta raccontando l’abbia scavata dentro e faccia in qualche modo parte di lei prima ancora di diventare evento creativo”. Grazie infinite Roberta, per lo spazio che mi hai dato.
(R M): Grazie a te Giovanna, per le tue parole accorate e veritiere. Grazie per quello che fai e per quello che ci doni.
INFO
NINNA NANNA
Performance inedita di Giovanna Lacedra
Live:
Sabato 5 ottobre, ore 18,30
Villa Bagatti Valsecchi – Varedo (MB)
In occasione di MILANO SCULTURA
Fiera di Scultura Contemporanea
VIII Edizione
A cura di Ilaria Centola